Le tenebre si allontanano portando con sé gli spettri della notte, ma la luce fatica a prendere completamente possesso del cielo, grazie a questa bruma fitta che avvolge il mondo in una grigia calma ovattata. Il silenzio è rotto solo dal leggero scricchiolio del fasciame. Le vele continuano a sembrare fantasmi addormentati in attesa di un alito di vita che tarda ad arrivare. Sento la fragranza della terra bagnata oltre i vapori umidi, ma la lente del cannocchiale mi mostra solo un muro di nebbia. La notte è stata lunga e insonne per tutti. L’unica possibilità di avanzare, in mancanza di vento, è stata quella di mettere le scialuppe a mare e far spaccare la schiena agli uomini facendoli remare senza sosta.
Il nemico ci tallona da tempo, sento il suo fiato sul collo: siamo riusciti a sfuggirgli grazie allo spirito di sacrificio dimostrato dall’equipaggio. Ma gli uomini sono stanchi, hanno bisogno di riprendere le forze: sono settimane che siamo in navigazione, e da due giorni il nemico non ci molla. La costa potrebbe darci l’opportunità di seminarlo – se solo la nebbia si diradasse quel tanto che basta da individuare un’insenatura adatta per nasconderci. Devo assolutamente trovare un ancoraggio sicuro dove fermarci per riprendere fiato: siamo a corto d’acqua e di viveri. Sento che la terra è vicina, ma non c’è niente di più terrorizzante che essere avvolti dalla nebbia in acque sconosciute.
Un po’ d’aria da est, è il momento buono per accostare. Se ci avviciniamo forse riesco a individuare un lembo di terra adatto. Ho dato ordine di non parlare, qualsiasi manovra va fatta in silenzio. Le vele cominciano ad animarsi, si gonfiano e iniziano lentamente a sospingerci. Guardo in alto e vedo piccole figure che si sbracciano sui pennoni per dispiegare le vele intorpidite dall’inattività. Il fruscìo della tela che si riempie di vita è un canto meraviglioso che ti fa venire i brividi lungo tutto il corpo. L’ambiente si scrolla da dosso i grigi vapori, mostrando un panorama sconosciuto e selvaggio. Finalmente uno scorcio di visuale: una costa scura e vulcanica, con rilievi disseminati di palme. Ecco, il promontorio alla fine di quel tratto di terra bassa potrebbe essere un nascondiglio adatto – sempre che non ci individuino prima. Stranamente la nebbia sembra richiudersi alle nostre spalle: sarà qualche folletto benevolo che ha deciso di aiutarci. Dirigiamo con cautela verso la costa e faccio segno al Secondo di far controllare il fondale, un marinaio lancia a mare la lunga cima dello scandaglio e con la mano mi segnala che non tocca. Siamo ancora in acque profonde, ma è meglio stare attenti.
Continuo a scrutare la costa in cerca di non so cosa, forse in un miracolo. L’uomo allo scandaglio segnala cinquanta braccia, il fondale comincia a salire, faccio segno di diminuire la velatura e di tenerci paralleli alla costa. Una strana spaccatura lungo una parete rocciosa m’incuriosisce, punto il cannocchiale e scruto attentamente il fianco di quella muraglia. Là, sembra un’apertura dentro la roccia, e faccio cenno di dirigere in quella direzione.
L’uomo allo scandaglio segnala quaranta braccia – la parete si avvicina e comincio a intravedere uno leggero squarcio che l’attraversa tutta tuffandosi nel mare. Sembra una sacca, una rientranza. Dovrei mandare una scialuppa a controllare quell’apertura, ma il nemico potrebbe sopraggiungere a momenti e sarebbe rischioso, sarei costretto a recuperare gli uomini in mare e ci beccherebbero in brache di tela. Voglio rischiare – e indico di avanzare lentamente.
L’uomo allo scandaglio segnala trenta braccia: c’è un silenzio che sa di paura, gli uomini evitano anche di respirare. Mi sento osservato da centinaia d’occhi che mi chiedono con lo sguardo a quale rischio stiamo andando incontro. Lo so è un azzardo costeggiare una terra inesplorata, ma tanto vale consegnarsi al nemico.
L’uomo allo scandaglio segnala venti braccia, forse sto chiedendo troppo alla mia buona stella, ma qualcosa mi dice che devo avanzare.
Un residuo di nebbia si disperde svelandomi quello che intimamente speravo più di ogni altra cosa: lo squarcio si allarga; un’ansa nascosta si apre gradualmente mostrando un passaggio stretto, ma attraversabile.
L’uomo allo scandaglio segnala dieci braccia, il fondale comincia a preoccuparmi, faccio cenno al timoniere di dirigere verso il centro dell’insenatura. Le pareti di roccia segnate da millenni di erosione ci ammoniscono incombendo sulle nostre incertezze – sono talmente vicine che sembra stiano per stringerci in una gigantesca morsa di pietra.
L’uomo allo scandaglio segnala cinque braccia, individuo una piccola rada a sinistra e faccio segno di dirigere da quella parte.
Dopo pochi minuti il silenzio viene rotto dall’ancora che si tuffa in acque cristalline, mentre l’uomo dello scandaglio raccoglie la lunga cima.