Ecco!

Ho navigato nella vastità degli oceani seguendo rotte sconosciute.

Ho sofferto la fame, la sete, il sonno, la solitudine.

Ho imparato a interpretare gli eventi atmosferici.

 Ho imbrigliato i venti, cavalcato le onde, rincorso le nuvole.

Ho imparato a usare la pioggia e il sole.

Ho tessuto vele, ho impalmato corde.

Ho piegato l’acciaio e trasformato il legno.

Ho separato il sale dall’acqua, la pelle dai muscoli, la carne dalle ossa.

 Ho ucciso.

Ho visto gli iceberg, le balene, le orche, gli albatros…

Ho sempre evitato la terraferma e i suoi infidi scogli:

trappole che imprigionano e rendono schiavi.

Ho sempre guardato a prua, là, verso l’orizzonte.

La mia pelle è cotta di sole e di sale. I miei occhi arsi dal mare,

i miei piedi deformi;  sempre in cerca di equilibrio.

Le mie mani piagate da mille ferite.

Adesso le mie membra sono stanche…

Ecco! Un’isola.

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Sula

Le mie parole cosparse di sale.

I miei occhi bruciati dal sole.

Intorno al mio relitto vola una sula.

Al centro dell’oceano sono solo.

Ricordi controversi della Sila.

Serate a giocare a carte nella sala.

Forse era meglio navigare lungo il Sele.

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Il camino

Attizzo il fuoco, lo smuovo piano.

Qualche altro pezzo di legno ci vorrebbe.

Sei bella, la tua voce mi affascina.

T’ascolto assaggiando ogni tua parola.

La fiamma c’illumina.

Una leggera sfumatura di verde contorna i tuoi occhi.

Aggiungo un pezzo di ulivo secco.

Tocchiamo i nostri calici, il suono fugge lungo le pareti.

Sei ben cotta, ti posso mangiare.

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Mi ossigeni

Non riesco a muovermi. Dài, staccati da me, non vedi che le mie labbra bruciano? Guarda, si fondono con le tue. Oddio! Adesso si sciolgono, si stanno sciogliendo… si amalgamano; vedi come coagulano e si uniscono in un’unica forma?

Guarda i miei occhi, li vedi i miei occhi? No, non li vedi, lo so. Li tengo bassi perché non riesco a guardarti: ho paura. Potresti farmi una magia; farmi bruciare tra fiamme di piacere o cullarmi tra i carboni ardenti, che ne so cosa potresti farmi? Comunque voglio che tu lo faccia, dài, fallo!

Osserva come bevo i tuoi bisbigli, lo vedi? Mi sto dissetando e più ne bevo più ho sete; mi si dilaterà la pancia fino a scoppiare, sarà un botto tremendo, un incredibile sbuffo d’aria.

Ho preso coraggio, ti guardo; adesso ho fame, anche tu hai fame, lo vedo dai tuoi occhi, questi occhi che vengono da lontano. Le nostre mani si frugano insistenti, le dita scivolano fluide, i seni affannano, si gonfiano, le gambe si intrecciano e si annodano strette… sessi affamati si cibano l’uno dell’altro. Ancora, dài, ancora… corpi spossati ansimano… tu sospiri, poi gemi, infine palpiti… il soffitto è bianco, anche il fondo dei tuoi occhi lo è.

Adesso i nostri respiri si mescolano, soffiano l’uno intorno all’altro: due piccoli turbini avidi che si rincorrono nell’aria quieti. Guarda, sembra si colorino; ogni spira ha un colore diverso, bello, no?

Respiriamo un poco meglio adesso, mi ossigeni.

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