La giostra

Amo il tuo profumo… così dolce, così gentile… lo cerco sempre in ogni donna che incrocio; mi aleggia intorno sfuggente, come se avesse fretta di disperdersi.
Allungo il corpo inspirando profondamente finché non mi arriva nel cervello; finché non mi appare il tuo viso. Il tuo viso, che danza lungo i bordi della mia mente. Il tuo viso, che scivola lungo i miei pensieri tuffandosi nei miei ricordi. Rotolo su di essi inciampando e rimbalzando a ogni caduta per trovarmi, infine, disteso sul tuo ventre. Giaccio lì, immobile per un po’, ma ti dissolvi in mille luci colorate che si rincorrono. Resto solo. Ecco! Adesso ti rivedo, sei lì, in fondo. Ti vedo in mezzo a tante note colorate che danzano leggere chiuse in bolle di sapone; provo a bucarle, ma rimbalzano e si allontanano indifferenti. Guardo il mio corpo: è inerme, privo d’aria; alzo il mento verso l’alto per trasformare i tuoi lineamenti in qualcosa di respirabile per riprender fiato. Chissà se ti conservassi in una boccetta e ti tenessi su una mensola cosa penseresti? Potrei cospargermi la pelle della tua essenza tutte le mattine, così dai pori entreresti nel mio sangue e sarei sempre avvolto dal tuo profumo.

Comincio a sentirmi strano, tra poco, lo so, diventerò solido e poi tutto tornerà come prima.

Scenderò dalla giostra.

Share This:

Prima colazione

La forchetta dava una sensazione di incertezza, messa lì, sospesa a mezz’aria. Lo spicchio di pesca, infilato tra le punte di quell’attrezzo un po’ troppo lucente, sembrava un quarto di luna vestito di sole; sullo sfondo un seno maturo, pronto; pieno di calore e promesse di godimento.
No, non erano solo quelli i dettagli: c’era il viso con le labbra socchiuse che creavano una leggera e piacevole increspatura sulle guance. C’erano gli occhi felini e invitanti – separati da un naso gentile – che osservavano desiderosi…Ma la forchetta e il seno s’irradiavano come un fuoco divampante aggredendogli l’anima spudoratamente; quelle forme gli esplodevano direttamente nella mente come schiaffi sonori. Non riusciva a distaccarsene. Cercò di apprezzarne l’insieme, valutando la qualità del quadro, anche se non gli sembrava un gran che come opera. Si rese conto che l’autore avrebbe voluto imprimere al dipinto una certa luce magica, ma che si era lasciato prendere la mano nell’intento di marcare troppo i particolari…

Il gallerista si avvicinò con discrezione «Le piace? S’intitola Prima Colazione; un’opera di un autore italiano ancora poco conosciuto, ma con grandi doti», disse con un cortese sorriso.

«Lo compro», rispose lui senza girare lo sguardo.

«Bene. Il quadro è una tecnica mista… »

«Lo compro», l’interruppe lui guardando sempre il quadro.

«Ma… sì, certo signore. Dove glielo mando?»

«Lo porto via subito», disse lui finalmente guardandolo, come se fosse appena uscito da una specie di trance.

Il quadro era abbastanza grande, ma non tanto da impedirgli il trasporto fino a casa. Infilò la chiave nella toppa, e per la milionesima volta si disse che doveva farla regolare quella cosa cigolosa e pesante. Scartò il quadro e lo tenne sospeso tra le mani osservandolo attentamente. Dietro c’era scritto il titolo, la tecnica e l’anno. Staccò un quadro dal muro e vi appese quello nuovo; si mise seduto e restò a fissarlo. Dopo un po’ spense le luci, si avvicinò al quadro, lo tolse dal muro e lo portò in camera da letto. Con molta cura s’infilò il pigiama, abbottonandolo premurosamente fin sotto il collo, e controllando che i bottoni combaciassero perfettamente con le asole; appoggiò il quadro delicatamente sul letto a fianco a lui, leccò lo spicchio di pesca e si addormentò con il braccio sul seno di lei.

Share This:

Puttana

“Impastiamo teorie ultraterrene per sfamare le nostre anime”, disse lei sedendosi sul tavolinetto del salotto.

Lui la guardò incuriosito, non capiva perché gli avesse detto quella cosa senza né capo né coda. “ Che intendi?” Disse lui distendendo le braccia verso l’alto per alleviare il fastidio alla spina dorsale – amplificato dalla forma affossata della poltrona.

“Siamo bombardati da continue teorie sulla vita ultraterrena, lo spirito, gli angeli, alieni, fine del mondo… sembra che chissà cosa debba succedere a breve, ma io penso che è solo perché ci sentiamo soli e insoddisfatti… ” girò lo sguardo verso la veranda da cui s’intravedevano alcuni picchi innevati di montagne, sullo sfondo di un cielo coperto.

Lui seguì lo sguardo di lei, nella speranza di capire cosa le fosse saltato in testa così all’improvviso; si soffermò sul viso percorrendole il profilo dalla fronte fino al mento; ma non riuscì a frenare gli occhi che si posarono desiderosi sopra il seno.

“Forse perché abbiamo bisogno di cambiamenti… ” disse lui senza convinzione.

“Cambiamenti? Sei forse cambiato tu che continui a usarmi come una puttana?” Gridò lei alzandosi di scatto e uscendo fuori dalla veranda. Una folata fredda inondò la stanza gelando anche la lingua di lui.

Quelle vette appuntite le davano un senso di precarietà indescrivibile; più le osservava e più rabbrividiva. Era decisa a chiudere quella storia senza copione, senz’anima.

“Dài vieni dentro, fa freddo qui fuori… ”disse lui quando gli si scongelò la lingua.

“Vattene, va’ via… lasciami sola, pagami la scopata e esci dalla mia vita… ”

“Ma si può sapere che ti è preso?” Disse lui tremando dal freddo: era a torso nudo.

“Porta le tue cazzate fuori dalla mia porta, hai capito?”

Lui entrò dentro contò dieci pezzi da cinquanta euro e uscì sbattendosi la porta alle spalle.

Lei prese i soldi e iniziò a farne piccoli aerei, lanciandoli nell’aria dopo averne riscaldato la punta.

Un raggio di sole bucò le nubi.

Share This:

Paure

“Ti spingo oltre il fosso non per farti cadere, ma per farti vedere altra terra calpestabile”, le disse l’amico alla fine del discorso.

“Sì, ti capisco, ma mi sento ancora impaurita, so che la sua furia crescerà e si manifesterà in modo rabbioso… ho paura delle sue reazioni”, disse lei.

“E’ proprio su questo che lui gioca. Capisci che ormai ti possiede mentalmente? Fammi intervenire così gli do una lezione a quel bastardo!”

“No, lascia perdere, devo risolverla da sola… ”

“Allora reagisci; sii più concreta, ed esorcizza le tue paure. Stacca l’interruttore”.

“Sì, lo farò, ho solo bisogno di capire e capirmi meglio… ”

“Spero che in questo gioco di carnefice e vittima tu non ci trovi qualche recondito piacere; sai come vanno queste cose… ”, disse lui preoccupato.

“Devo confessarti che all’inizio ci provavo gusto, ma adesso provo solo dolore… “

“L’importante è che ne hai coscienza, già è un passo avanti… ”, disse lui mentre i silenzi diventavano sempre più lunghi.

“Ti chiamo stasera, così… ” disse lei.

“Sì… ciao” rispose lui.

Spense il cellulare e discese le scale. Doveva incontrarlo al solito posto. Camminava spingendo il corpo in avanti, come se dovesse vincere la resistenza dell’aria; aveva la sensazione che qualcuno la stesse tirando per i capelli trattenendola. I pensieri le si sovrapponevano in tante voci incomprensibili: come tanti echi lontani. Stranamente la strada sembrava rimpicciolire velocemente verso il centro: le ricordava quelle immagini che si allungavano come un elastico nei cartoni animati, che le piacevano tanto quando era piccola. Ma la cosa non la impressionò, anzi la fece sorridere.

L’uomo era là, fermo, appoggiato al muro con in faccia stampata un’espressione trionfante.

“Ero certo che saresti venuta”, le disse.

“Ne ero certa anch’io”, rispose lei.

“Allora?” Disse lui sempre con la stessa espressione sul viso.

“Allora sono venuta a riprendermi la mia vita”, disse lei decisa.

“ E come pensi di farlo?” Chiese lui in tono di sfida.

“Così!” La pistola si materializzò improvvisamente, e allo stesso modo il colpo partì, inaspettato anche per lei, ma la mira fu precisa: direttamente in mezzo alle gambe, all’altezza del pene.

“Ecco! Ho esorcizzato le mie paure”, disse lei allontanandosi.

Share This:

Il Libro

Quel pomeriggio, prima di tornare a casa, passò per la libreria. Entrò e si avviò direttamente al reparto fantasy. Amava i libri fantasy: leggeva solo quelli. Anche se era una persona concreta, e non credeva nelle fate, nei maghi, elfi… li amava e non poteva fare a meno di leggerli. Non andava spesso in libreria, ci andava ogni tanto. Ogni tot settimane, dipendeva da quanti libri riusciva a leggere ogni tot settimane. Perché?Perché quando passava alla cassa, spesso si vergognava di far vedere a gli altri che leggeva quel genere di libri. Era un uomo timido, solitario.

Era in fila in attesa di pagare, quando venne spintonato da una donna molto attraente.

«Scusi… scusi tanto» disse la donna.

«Niente… ehm, stia tranquilla» rispose lui porgendole i libri che la donna aveva fatto cadere insieme ai suoi.

«Ecco, tenga… questo è suo» disse la donna allontanandosi in fretta. Mentre lui la guardava affascinato.

«Sono ottantasette euro signore… signore?» Disse la cassiera.

«Ah, sì, mi scusi… sì» rispose lui, tornando in sé.

Strano, Pensa Yago, l’incipit di questo libro sembra identico… Gira lentamente la pagina e continua a leggere.

Passò prima per la lavanderia e poi andò a casa; lungo le scale incontrò la signora del primo piano…

Yago si ferma di nuovo, guarda la pagina e: No, non è possibile mi sto lasciando suggestionare, pensa. Ma invece di continuare, parte di nuovo dall’inizio del racconto. Supera la parte letta in precedenza e continua.

… la signora Anna, una ficcanaso senza eguali. Entrò in casa accese lo stereo, programmò una compilation di jazz e andò in cucina per far scongelare la cena. Dopodiché aprì la busta della libreria, tirò fuori i libri…

Yago lascia cadere il libro a terra inorridito. Si allontana da esso come se avesse visto un fantasma. Si guarda intorno, convinto che fosse uno scherzo, una specie di candid camera. Sicuramente adesso usciranno fuori e applaudiranno per lo scherzo che mi hanno fatto, pensa. Ma sa benissimo che non può essere così: non avrebbero avuto lo spazio. E poi perché proprio a lui? Cosa aveva di speciale lui? Con cautela si avvicina di nuovo al libro e riapre la pagina.

… e vide che ce n’era uno che non aveva scelto. Lo prese e ne lesse il titolo – Le fantasie di questo mondo – di Morgana Estro (tratto da una storia quasi vera).

No! Grida Yago, non è possibile! Chiude il libro, ma dopo qualche secondo prende coraggio e continua a leggere.

… Lesse la quarta di copertina scritta dalla stessa autrice: – Spesso da questa parte del mondo, cioè dalla parte reale, succedono cose che dall’altra parte, cioè dalla parte irreale, non immaginano nemmeno. Quale sarà la realtà? Questa o quella – Morgana Estro.

«Sicuramente era di quella donna con la quale mi sono scontrato» disse sorridendo. E iniziò a leggerlo.

Quel pomeriggio, prima di tornare a casa, passò per la libreria. Entrò e si avviò direttamente al reparto fantasy…

Una strana sensazione di disagio comincia ad avvolgerlo; tuttavia continua a leggere finché non arriva esattamente dove si trova in quel momento. Ma prima di girare la pagina si ferma e posa il libro. Ha la testa che gli ronza come uno sciame d’api, ed è bombardata da una serie infinita di domande. Di cui una sola è la più importante, la più rilevante; forse l’unica a dover pretendere una risposta immediata. Come fa quel libro a descrivere esattamente quello che gli sta succedendo?

Ha paura di voltare pagina; non riesce a credere a quello che gli sta accadendo. Titubante guarda il libro appoggiato sul piccolo tavolino vicino alla poltrona; è tentato di riaprirlo e girare pagina, ma non ne ha il coraggio. Continua a guardarsi intorno come se qualcuno lo stesse osservando. Si chiede più volte se gli stessero tirando un brutto scherzo. Improvvisamente comincia a girare per il piccolo appartamento e rovistare nei punti più nascosti, convinto di individuare tracce di qualcosa: telecamere, microfoni, ma non trova niente. Si accovaccia nell’angolo opposto e guarda il libro con angoscia; come se da esso chissà quale incantesimo si stesse per sprigionare. Poco dopo si alza e inizia a girare di nuovo intorno alla poltrona – tenendo sempre il libro sott’occhio. Poi si guarda le dita e rimane sorpreso: le unghie non ci sono più: se l’è mangiate. Ma la curiosità spesso riesce a sopraffare la paura, specialmente quando si tratta del proprio destino. Prende il libro e lo riapre; arrivato al punto dove si trova in quel momento gira la pagina e con sorpresa scopre che le parole sono senza alcun tipo di significato; un’accozzaglia di lettere messe una dietro l’altra senza coerenza: indecifrabili. Aspetta un po’ e poi lo riapre ancora, e poi di nuovo: più e più volte, ma la parte illeggibile rimane invariata.

La mattina dopo apre il libro e scopre che parte delle parole che non si leggevano la sera prima sono diventate comprensibili, fermandosi, poi, sempre nel punto della realtà temporale. Chiama in ufficio e dice che non si sente bene, poi prende il libro e si avvia verso la porta, ma passando davanti allo specchio si rende conto di essere ancora in pigiama. Torna indietro e s’infila velocemente una camicia e un paio di pantaloni. Incuriosito apre il libro e legge le ultime righe.

Chiamò in ufficio e disse che non si sentiva bene, poi prese il libro e si avviò verso la porta, ma passando davanti allo specchio si rese conto di essere ancora in pigiama. Tornò indietro e s’infilò velocemente una camicia e un paio di pantaloni. Aoutrndt af potfgatl dpfvestqaoton d gfl, dotgg, hs gerqh ssmgqotu, fdrbhfgayffd. Mgatdghisfryo; bhlogttabsujt…

Mentre scende le scale incontra la signora Anna del primo piano. Buongiorno Yago, non va a lavoro oggi? Gli chiede la signora Anna. Cosa glielo fa pensare? Risponde lui. Be’, ecco, non la vedo in giacca e cravatta, e quindi… Si faccia gli affari suoi ficcanaso! Risponde Yago, continuando a scendere velocemente le scale. Che villano! Dice la signora Anna molto sorpresa.

Yago esce sul marciapiede, si ferma e riapre il libro.

Mentre scendeva le scale incontrò la signora Anna del primo piano «Buongiorno Yago, non va a lavoro oggi?» Chiese la signora Anna. «Cosa glielo fa pensare?» Rispose lui. «Be’, ecco, non la vedo in giacca e cravatta, e quindi…» «Si faccia gli affari suoi ficcanaso!» Rispose Yago, continuando a scendere le scale velocemente. «Che villano!» Disse la signora Anna sorpresa. «Chi se lo sarebbe mai aspettato da una persona del genere, è sempre stato così gentile» continuò salendo le scale la signora Anna. «Di chi parli Anna?» Le chiese la sua vicina sul pianerottolo. «Di Yago, sai quello che abita al terzo piano?» Disse Anna. «Certo, lo conosco, quel tipo solitario; un tipo normale. Che ha fatto?» Chiese la vicina. «Mi ha dato della ficcanaso. Da lui non me lo sarei mai aspettata. E’ sempre stato educato, ben vestito…mah! A volte la gente impazzisce. E poi l’ho visto strano: aveva la camicia abbottonata male, la lampo dei pantaloni aperta e non si è fatto neanche la barba. Ciao carissima ci vediamo», disse Anna chiudendosi la porta alle spalle. Bhlogttabsujt.. lf potfgatl dpfvestqaoton labhlogtto rbhlogtte vbhlogtt assmgqotu.

Yago si tocca la barba, si tira su la lampo richiude il libro e va diretto alla libreria.

“E adesso?” Si chiese lei “Come la faccio continuare questa storia? In fin dei conti gli ho dato una bella personalità a questo tizio: un uomo normale, solitario, sconvolto da un libro misterioso, un libro magico. Gli ho anche dato un nome un po’ improbabile – Yago – che rimanda a sentimenti possenti come la gelosia… la gelosia. Sempre lo stesso problema”, si girò verso il telefono.

“Non vorrei farlo incontrare con la donna misteriosa: troppo scontato, e continuare con il gioco delle parole indecifrabili, rischierei di farlo diventare noioso. Ci vorrebbe un’idea, un’intuizione” si disse, girandosi di nuovo verso il telefono.

“Yago, Yago,Yago… ” ripeteva come un mantra.

Lo scampanellio della porta d’ingresso la fece tornare in sé, si alzò e andò ad aprire.

«Buonasera, cerco la signora Morgana Estro». L’uomo aveva un libro tra le mani.

Share This:

Whisky

Apro la porta della camera da letto, l’aria pesante m’assale; il puzzo di whisky rancido si fa strada libero verso l’esterno; neanche lui riesce a starti vicino. Il tuo petto si alza e s’abbassa come un mantice che rantola rumorosamente; ti mordi il labbro inferiore lasciandovi profondi segni esangui; hai la fronte corrugata da molteplici linee imprecise, intanto che continui a girarti e rigirarti su tutta la superficie del materasso. Sei con le tue ansie adesso, le tue paure, i tuoi incubi. Quanti incubi dovrai ancora fare? Quanto dolore dovrai ancora seminare? Quante incertezze lascerai ai tuoi figli? Quanto ti rimarrà ancora da vivere?

Neanche questa volta mi va di mettermi a letto vicino a te, ormai sono mesi. Apro il divano letto, mi sdraio e lascio scorrere i pensieri lasciandoli fare il loro corso, finché non sprofondo nell’abisso.

Eppure eri cosi bella.

Share This:

As time goes by

Si tolse i sandali avviandosi lungo la battigia – voleva godersi quello scenario tutto d’un fiato. Il sole aveva tinto di rosso la superficie del mare in quel caldo crepuscolo estivo; stranamente, a quell’ora, la spiaggia era deserta, c’era solo la sagoma di un pescatore seduto sul confine asciutto della sabbia che rammendava una rete più vecchia di lui.
Finalmente s’incontravano: si conoscevano da una settimana, ma era la prima volta che si vedevano da soli. Riconobbe il profilo di lei sullo sfondo rosso del cielo e accelerò il passo, come se volesse accorciare i suoi cinquant’anni. Lei lo vide e avanzò incerta, anche i suoi pensieri erano incerti, tutta la situazione le sembrava incerta. L’ultima storia le aveva lasciato una ferita profonda ed era impaurita: vent’anni di differenza sembravano una lunga striscia d’asfalto infinita. Si guardarono negli occhi, lui era impacciato, riuscì a pronunciare solo un semplice «Ciao». Lei gli rispose con un sorriso poco convinto; era intimorita, ma quell’uomo le piaceva, ne era affascinata; nessuno l’aveva mai trattata con tanta dolcezza.

«Bella questa camicia, ti dona», disse lei per rompere il silenzio.

«L’ho scelta apposta per l’occasione», rispose lui sorridendo.

Si avviarono verso un piccolo bar di legno col tetto di palme, mentre la musica di “As time goes by” si diffondeva fin sopra il mare.

Lui continuava a guardarla con un misto di timore e speranza, indeciso se dichiarare i suoi sentimenti sin dal primo incontro.

«Guarda quel gabbiano», disse lui indicandolo «sembra che sia alla perenne ricerca di qualcosa».

«Cerca solo del cibo», rispose lei.

«No, non guarda sul mare, ma verso l’orizzonte», ribatté lui.

«Qual è la differenza?» Chiese lei.

«Cerca una compagna perduta», rispose lui sorridendo.

«E tu? Anche tu cerchi una compagna?» Domandò lei, osservandolo.

«Ogni uomo deve avere una sua compagna», rispose lui.

«Questo nessuno lo può negare», disse lei.

«E’ sempre la stessa vecchia storia», continuò lui.

«Sì, lo so, l’amore, l’odio, la vita la morte… », disse lei, guardando più lontano del gabbiano.

«Anche la donna ha bisogno dell’uomo», l’interruppe lui.

«Devo andare», disse lei alzandosi.

«No, aspetta… ti rivedrò ancora?» Chiese lui, mentre con la mano cercava di trattenerla.

«Forse, col passare del tempo… », rispose lei, incespicando nelle sue incertezze.

 

Share This:

La crepa

Ecco, ti sento arrivare: entri senza curarti di quello che c’è intorno, il mento rivolto verso l’alto e gli occhi che guardano lontano.
I tacchi percuotono il pavimento scandendo la lunghezza del corridoio, mentre il tintinnio delle chiavi dà il tempo ai passi. Ti affacci alla porta, mi guardi, giri le spalle e vai in bagno; sento l’acqua che scorre, suoni ovattati, silenzi voluti, bisbigli clandestini. Poi la porta del bagno si apre e appari nel vapore col tuo asciugamano rosa intorno al corpo; vai in camera da letto; rumori già conosciuti m’arrivano attutiti: il tonfo dell’anta scorrevole dell’armadio, il secondo cassetto del comò che stride da quando l’abbiamo comprato, grucce che urtano, fruscii di stoffa. Ed è come se vedessi un susseguirsi di istantanee. Dopo un po’ il tuo profumo si diffonde per la casa. Mi giro, so che stai sulla porta, mi guardi di nuovo, ti allontani; di nuovo i tacchi, li conto, e la porta sbatte. Guardo l’orologio, è tardi, mi metto a letto, osservo il soffitto: quella sottile crepa si allunga da quando abbiamo comprato casa.

Mi giro sul fianco; domani è un altro giorno.

Share This:

Viso di stoffa

Lo so dove sei andata. Ci sei andata altre volte, ma non serve; cerchi di alleviare i tuoi rimorsi chiudendoti in una stanza spoglia di un motel, coperta solo da un misero accappatoio che sembra un saio. Ti vedo, sul bordo del letto a ritoccarti il viso col portacipria di Swarovsky; è la tua natura, la tua essenza, la tua contraddizione. Io so cos’hai dentro, lo percepisco anche a distanza; ti nascondi a te stessa, ti ammanti di finto fatalismo, di responsabilità indotte. Esci da casa sorridendo a tutti e salutandoli con cordialità mentre i tuoi occhi brillano di un’altra luce. C’è un conflitto enorme dentro di te, complicato dalla tua presunzione di poter gestire tutti con il tuo viso di stoffa. Lo hai lavato troppe volte ormai: il tessuto si sgrana, devi indossarne un altro. Puoi comprarne uno nuovo, ma hanno messo i saldi. Saresti uguale agli altri.

Sei misera, ma non sei degna di pietà. La tua anima si perderà, continuerà a vagare finché il tempo cesserà. Sarà la tua nemesi. Mi hai reso schiavo della tua bellezza manipolando la mia mente come un pezzo d’argilla. Hai costruito un vaso e poi l’hai fracassato, riducendolo in mille pezzi. Li sto ancora raccogliendo. Molti sono inutilizzabili. A che serve ricostruirlo…

Neanche lui riesce a essere più misero di te. Lui che cerca di soddisfare il tuo corpo che reclama sesso mentre la tua mente ci gioca; mentre lo soggioghi con le tue malìe. Lui che è convinto di condurre il gioco. Che uomo stupido… Ti sei procurata uno stallone da monta, ma non sa correre: non è di razza. Con lui ti è più facile; la sua intelligenza è inversamente proporzionale alle sue prestazioni fisiche, mi dicesti. E io cercando di fare l’indifferente ti chiesi di cambiarti il vestito, quella sera del ricevimento. Non è importante cosa indossi, ma come lo indossi, dicesti.

Sì, vinci anche in questo: l’indumento non ti veste, sei tu che vesti lui. Nessun uomo ti veste, nessuno uomo ti vestirà mai.

Lui sarà arrivato ormai, starete a letto iniziando la vostra danza di guerra. Anche questo me l’hai detto tu. I preliminari sono come una danza di guerra intorno a un grande falò di passioni. Ricordi? Eravamo in macchina. Parlavi e il falò si rifletteva dai tuoi occhi, mentre dentro di me un rogo bruciava inarrestabile. Non risposi: avevo paura che smettessi di raccontarmi di voi due. Dopo un po’ passasti ai particolari. Eri precisa nelle tue descrizioni, come se ne stessi parlando con un’amica. Sembravi posseduta da una strana suggestione, ma non del tutto. Mi spiavi con la coda dell’occhio cercando di capire se mi stessi eccitando. Un gioco malefico il tuo. Non contenta, la tua mano iniziò ad accarezzarmi l’inguine. Fermati! Mi dicesti. Accostai e mentre osservavo il traffico notturno saziasti la tua sete nutrendoti della mia sostanza. Quella notte a letto ti cercai. Non adesso, mi dicesti girandoti dall’altro lato.

I giorni passavano sulle nostre vite, c’incontravamo sempre meno in casa, tranne la mattina. Cercavo di non pensarci, mi dicevo che presto sarebbe cambiato. Una sera, un collega di lavoro mi portò in un bar; erano giorni che insisteva. Era un bar di single; sagome scure; uomini e donne disillusi. Lei era simpatica; appena uscita da una storia sgradevole, ed era piena di grandi sogni. Non ricordo come, ma mi svegliai nel suo letto la mattina successiva. C’era un biglietto che mi invitava a rilassarmi come se fossi stato a casa mia e di farmi il caffè. Quando penso a lei mi tornano in mente solo i suoi occhi, occhi limpidi come acqua che scorre.

Dove sei stato stanotte? Mi chiedesti. E io per vendicarmi ti raccontai tutta la verità, tranne i particolari che m’inventai di sana pianta. Il tuo viso s’infiammò, una strana luce si formò nei tuoi occhi da gatta selvatica. Ti avvicinasti e strusciandoti cominciasti a gemere. Lo facemmo lì sulla sedia e poi continuammo nel letto fino a notte inoltrata. Non voglio dividerti con un’altra, mi dicesti alla fine. Andai in bagno e rimasi un po’ a guardarmi nello specchio e quando tornai stavi già dormendo. Era tornato tutto come prima.

Ritornai in quel bar, non so perché, ma ci tornai. Era presto, c’erano solo un paio di persone appoggiate sul lungo bancone. Chiesi al barista se l’avesse vista, ma non ricordava di chi parlassi. Fermai un taxi e mi feci portare a casa sua. Non ricordavo l’indirizzo, ma la zona sì. Una signora mi disse che era partita per l’Africa. Stava realizzando uno dei suoi sogni allora. Passai la notte girando senza meta per la città. Tornai a casa sperando di suscitare in te altro interesse, ma nessuna luce si formò più in quei tuoi occhi da gatta selvatica. Hai passato di nuovo la notte fuori? Mi domandasti, dandomi un bacio sulla guancia. E senza attendere risposta chiudesti la porta alle tue spalle.

Perché non smetti di vederlo, ti ho chiesto stamattina in cucina. I tuoi occhi mi guardavano da sopra il bordo della tazza del tè. Ti prometto che da domani non lo rivedrò più. Da domani.

Sto cadendo dal dodicesimo piano chiedendomi se lo rivedrai anche domani.

Share This:

La Ninfa

I vapori saturavano la grotta condensandosi in gocce sotto la volta che, gravide, cadevano di tanto in tanto. L’uomo galleggiava leggero lasciandosi portare dalla piccola corrente creata dal getto d’acqua che sgorgava da un’anfora incastrata nel muro appena sopra la vasca. Qualcuno si era preoccupato di profumare l’acqua con essenze di eucalipto e alloro, più un altro profumo che non riusciva a identificare. Si sentiva avvolto in un limbo benefico. Era come se fosse lì dalla nascita, anzi, da molto prima. Gli sembrava come se il tempo stesse decidendo se continuare il suo corso o fermarsi a contemplare la scena, fissandola in un tempo senza tempo. Un piacevole calore gli faceva scorrere stille di perle lucenti che gli scivolano lentamente lungo il viso gocciolando nell’acqua. Sulla parete piccoli pezzetti di maiolica creavano un elaborato mosaico con scene di ninfe velate e ancelle con anfore e ghirlande di fiori, con piccole sorgenti che s’immettevano in una vasca simile a quella in cui si trovava l’uomo. Il tutto era incorniciato da linee ondulate di disegni moreschi che davano l’aspetto di un oriente antico e misterioso.

Le ancelle raccoglievano l’acqua sorgiva in piccole anfore disegnate delicatamente e, dopo averle profumate di oli fragranti, le versavano lungo il corpo delle ninfe – appena coperte da sottili veli di mussola. Alcune di esse si rincorrevano in cerchio saltando e danzando, per poi immergersi allegre nella piscina. Le voci gli giungevano chiare, contornate da fruscii, sciacquii e risolini allegri. Una melodia sconosciuta si fece strada, inerpicandosi delicatamente lungo il soffitto, per poi degradare lungo le pareti, fino a galleggiare sull’acqua.

Lei comparve da dietro la colonna incamminandosi lungo la vasca: il tessuto che l’avvolgeva ondeggiava spinto dall’andamento sinuoso delle anche. Si soffermò un attimo sorridendogli e poi s’immerse – mentre l’acqua si apriva al suo passaggio, per poi richiudersi alle sue spalle – in un liquido abbraccio contornato da lievi mulinelli, che le accarezzavano le cosce mentre avanzava. Sulla parete le ninfe li osservavano e ammiccano con sorrisi complici e piccole spinte dei gomiti. L’uomo rimase sdraiato sull’acqua, mentre veniva lambito dalle piccole onde create da lei, che era appena emersa al suo fianco. Le mani si toccarono con dita avide e curiose, poi le labbra si sfiorarono strisciando sulla pelle madida del sapore termale di sorgente calda. Infine le membra si unirono – aderendo perfettamente – in un ripetitivo e continuo orgasmo. Fino a quando un canto leggero in una lingua ancestrale iniziò a seguire il ritmo dei loro corpi. Fino a quando la melodia saturò l’ambiente. Fino a quando il tempo scordò il passato e abbandonò il futuro. Fino a quando dimenticò se stesso.

Era buio, l’inserviente vide il corpo galleggiare immobile con la faccia sotto e le braccia allargate. Si precipitò nella vasca con la speranza che l’uomo fosse ancora vivo. Ma il suo cuore s’era fermato già da un pezzo. “Dio”, pensò. “E’ il terzo che muore in un mese”.

Mentre sollevava il corpo appoggiandolo sul pavimento, il suo sguardo cadde sulla la scena lungo la parete – appena illuminata da una cono di luce soffusa. “Strano” pensò. “Eppure quella ninfa me la ricordavo nascosta dietro una colonna”.

Share This: