Guardò fuori dalla finestra: i profili delle case iniziavano a formarsi. Linee geometriche che riprendevano il loro posto sullo sfondo del cielo mentre le ombre si diradavano. Era l’inizio di un nuovo giorno; era la fine di una notte passata a trasformare i pensieri in parole. Chiuse la pagina: OpenOffice gli chiese se doveva salvare la pagina; cliccò su non salvare. Un’altra notte in bianco, un’altra pagina bianca. Distese la schiena e andò a farsi un caffè. Poi una doccia; si guardò nello specchio: c’era dell’ironia nello sguardo che gli rifletteva. Ma era solo una condizione esteriore, lo specchio non sapeva cosa c’era dietro quel viso. Forse neanche lui lo sapeva. Scese nel garage e prese la bici, accese l’iPod e partì. Il cielo era ormai chiaro, di un chiaro azzurro. Il colore gli ricordava un quadro di Hopper, ma il titolo non gli veniva. Si diresse sul lungomare: le prime macchine con gli anabbaglianti ancora accesi s’incrociavano sulla strada deserta. Un senso di desolazione gli riempì la testa: non era amarezza, non era nemmeno tristezza, era vuoto. Era come in una stanza satura di aria compressa, e lui vi galleggiava dentro. Come uno spazio privo di materia, ma colmo di antimateria. Non trovò appigli, vagò per lo spazio limitato da confini che non riusciva a toccare, mentre girava su se stesso in assenza di gravità. Il buio gli stringeva il cuore, incombendo su di lui e le sue paure; rivoltandolo come un calzino. Lo spazio si estese, ma non lo vedeva: lo percepiva. Venne sospinto verso qualcosa che non aveva ancora compreso; qualcosa di intangibile. Una strana consapevolezza gli lambiva appena i confini della percezione. Iniziò a vedere una fievole luce lontana, molto lontana. La corrente lo portava in quella direzione, ma sembrava tremendamente lenta. Provò a muovere le braccia come se volesse nuotare verso quella fonte di luce che, era certo, fosse una specie di porta d’uscita. Un gate verso la realtà. Una strana nenia cominciò a farsi sentire. All’inizio sembrava modulata, armoniosa; poi si sovrappose un insistente e fastidioso suono molesto che gli spaccò i timpani. Ritorno in sé. Era al centro della strada e una macchina lo scaraventò di nuovo sul marciapiede.