Sono imprigionato dalle parole, sono ingabbiato, recluso, incarcerato; sono un detenuto in gattabuia; mi hanno condannato, sono state loro a condannarmi: le parole; mi circondano, mi avvolgono, volteggiano nell’aria, a volte chiare, a volte no; mi sospirano all’orecchio, mi scivolano sul corpo, mi marchiano la mente, poi si dissolvono; le prendo a volo, poi le perdo, ne trovo alcune, ma poi si trasformano in altre; trasformazioni veloci, repentine; alcune mi cantano, altre ancora mi gridano, o sono talmente lievi che non le sento, ma le percepisco, so che ci sono; vagano, indifferenti, presuntuose, belle, brutte, inquietanti, mai insignificanti; mi prendono e mi portano lontano, a volte mi trascinano, altre mi abbandonano, alcune sono infide, altre sono sincere; ci sono, sono sempre là, tutte intorno; molte mi guardano e non si rivelano: aspettano; spesso le compro convinto di possederle, ma sono loro che mi fagocitano: si nascondono dentro le pagine, poi, improvvisamente, saltano fuori e m’imprigionano ammanettandomi; oppure le vedo apparire da un monitor e mi rubano gli occhi ipnotizzandoli; le incontro anche per strada, a volte imbellettate, altre appena accennate, ammiccano, sorridono, m’invogliano, mi provocano, sono tante: parlano, parlano, parlano, dovunque mi trovi parlano… silenzio! State zitte! Vorrei dormire almeno per una notte senza sentirvi.
Pazienza
Pedalo e mi chiedo di te
guardo la sabbia che corre più veloce del mare
mastico una gomma ormai senza sapore
avrei dovuto svuotare la vescica
la tua immagine sulla strada
chissà se ti piaccio
se becco il cestino a volo ti piaccio
se non lo becco pazienza
sputo la gomma
pazienza
Il cono di luce
Un cono giallo sotto un vecchio lampione
cristalli di luce su un viso dipinto di cuoio
marciapiedi bagnati da un’alba che scorre
intorno la nebbia che invade le strade
due spalle chinate dal peso degli anni
le ore corrono più veloci dei passi.
Sassi
Non è il pescatore sulla riva che mi dà fastidio e nemmeno il gorgoglìo dell’acqua. La corrente è forte, ma ci sono abituata. I massi sommersi li evito senza problemi.
A volte esito soffermandomi tra un ramo che galleggia e qualche salmone che mi passa accanto veloce. Ma niente mi turba più di quello stupido bambino che continua a lanciare sassi nell’acqua facendomi prendere un colpo a ogni tonfo; mentre il padre sta lì, con la canna alla cui lenza c’è un’esca più stupida del figlio.
Non sarei dovuta nascere trota.
Treno
Valigie sparse
muri scalfiti dal tempo
insegne brillanti che illuminano l’attesa
panche che freddano i culi
il batter del ferro sul ferro
l’odore di qualcuno che corre
la puzza di chi ti siede a fianco
il carretto dei giornali cigola
il parlottare di divise
un fischio che arriva
un’altra promessa tradita.
Il tram
L’asfalto scivola sotto il parabrezza
mi mordo un labbro
cartelloni illuminati che corrono veloci
giro a sinistra, perché?
Penso a ciò che avresti voluto dirmi
edifici estranei si allontanano
forse dovevo aspettare che mi spiegassi
vado avanti, non aspetto
il tram
dovevo andare dritto.
Neve
Ascolto il rumore della neve che cade
il mio mondo coperto di bianco
stalattiti fredde
erosioni temporali
voci lontane che ondeggiano
luce riflessa che rimbalza sul ghiaccio
cani che fiutano
mi cercano
fa freddo
mi avvio senza lasciare tracce.
Supplice
«Sono tuo supplice» disse lui inginocchiandosi. E poggiò la fronte sulle ginocchia di lei.
«Allontanati, non mi toccare!» Rispose lei scalciando nervosamente e colpendolo al viso.
Un piccolo rivolo di sangue si fece strada da una narice, ma lui non ci badò.
«Ti prego… ti prego amore perdonami… » disse lui avvicinandosi in ginocchio.
«Ti ho detto che non mi devi toccare! Hai capito?!» Disse lei correndo in camera da letto e sbattendo la porta.
«Ti giuro cucciola, non era mia intenzione… » disse lui rincorrendola sempre in ginocchio.
«Dài, apri la porta, facciamo pace… ti prego, dài!» Supplicò lui.
«Vattene via, sei spregevole… » disse lei singhiozzando.
«Dài, non piangere, ti prego… cucciola. Ti giuro non lo faccio più» disse lui appoggiandosi con la schiena alla porta chiusa e massaggiandosi le ginocchia che gli bruciavano. Si guardò intorno: il salone era disseminato di piatti rotti, vasi fracassati, libri dispersi sul pavimento e quadri che pendevano da un lato; sembrava che ci fosse passato un bulldozer impazzito. Questa volta l’aveva fatta grossa – pensò. Mentre i singhiozzi di lei si facevano a mano a mano sempre più lievi. Si sta calmando, meno male – si disse. Si strofinò con il dorso della mano la narice, osservò il sangue con curiosità, come se non fosse suo; si puntellò con le braccia e si alzò da terra. Avvicinò l’orecchio alla porta, cercando di individuare qualche rumore che gli indicasse lei cosa stesse facendo e, con un leggero tocco, bussò due volte alla porta.
«Cucciola, per piacere puoi aprire la porta? Vorrei parlarti… ti prego»
«Non hai considerazione di me, non hai rispetto… » disse lei, ancora con un debole singhiozzo.
«Amore ti prego, mi fai soffrire moltissimo così. Ti prometto che non lo faro più, lo giuro!» Incalzò lui intuendo uno spiraglio di speranza nella risposta di lei.
«Facciamo così: tu apri la porta e ne parliamo, ti prometto che non entro, voglio solo parlarne… va bene?» Continuò lui, ripassandosi il dorso della mano sotto il naso, ed eliminando gli ultimi residui di sangue raggrumato sopra il labbro.
Sentì la chiave della porta girare e la vide comparire dietro lo spiraglio.
«Come hai potuto?» Disse lei con le guance rigate dal trucco.
«Come hai potuto essere così insensibile… » continuò lei.
«Amore basta, non continuare ti prego, mi stai torturando… ti chiedo perdono… » disse lui con un singulto incontrollato.
«Perdono? Come se chiedere perdono cancellasse la tua azione ignobile. No mio caro, questa volta non te la cavi così facilmente, questa volta sarà l’ultima! Giuro su Dio! La prossima volta che non metti il tappo al dentifricio ti lascio definitivamente».
Asfalto
Il suolo è caldo, il sole picchia forte. Lungo la linea dell’orizzonte qualcosa sembra danzare tra i fumi trasparenti, deformandosi e poi riformandosi nell’aria bollente.
E’ blu, con la bocca quadrata e grigliata e ha quattro occhi gialli illuminati; sulla fronte il sole gli si riflette insieme al cielo. Ha due corna da cui esce un fumo denso e scuro, mentre al di sotto qualcosa gira. Si tira dietro un guscio argentato su cui riflettono i campi di grano e il resto del cielo. All’interno ci vive un uomo – qualche volta ci ho visto anche una donna. Ci stanno giornate intere là dentro a trasformare foglie di tabacco tritato in fumo e a bere da gusci colorati e lucenti che poi lanciano ai bordi della strada.
Devo affrettarmi ad attraversare prima che arrivi, ma scivolo male, non lubrifico, fa troppo caldo.
Ecco! Diventa sempre più grande: si avvicina, è enorme. Emette un suono forte, invadente, senza senso; già l’ho sentito questo suono, ha sempre la stessa modulazione sia di giorno sia di notte.
Fa troppo caldo, non lubrifico…
Geisha
Sembri pietosamente abbandonata: due parabordi di differente colore cadono dalle draglie, fin quasi a toccare la superficie dell’acqua. Quella barba di alghe formatasi intorno alla linea di galleggiamento sembra che stia lì solo e unicamente per produrre cibo per i pesci che ci girano intorno. La coperta è messa male e avrebbe bisogno di una bella scrostata e di una lucidata. Lo scafo è segnato da varie linee fatte da manovre disattente, impresse su un fondo arancione consumato dal sole. Il pozzetto sembra un mercatino dell’usato, con cime abbandonate qua e là; un salvagente buttato in un angolo, un asciugamano che fa da cuscino e macchie di muffa disseminate un po’ dovunque. Bisognerebbe sentire il motore e verificare la chiglia; per le vele non mi preoccupo, sicuramente saranno in condizioni pessime. L’albero sembra a posto, anche se tenuto su da sartie che andrebbero cambiate. Il cartello vendesi prende quasi tutto l’oblò di prua: anche quello è usato; starà lì da tempo. Non superi gli otto metri e mezzo secondo me, le murate sono alte, il pozzetto è ben protetto, sembri solida; hai solo bisogno di cure amorevoli.
Compongo il numero; ho deciso, ti chiamerò Geisha.