… e alla fine il vento porta via tutto.
Sono resistente all’acqua fino alla gola
Parole che si staccano dalla bocca come foglie morte; parole d’autunno ingiallite dal tempo, parole mature come uva raccolta. Parole sagge.
Il cellulare squillava già da un po’; l’uomo si svegliò di soprassalto cercando di individuare dove l’avesse messo la sera prima. Poi, finalmente…
«Pronto!» Rispose.
«Ciao, ancora dormi?» Disse la voce dall’altro lato.
«Sì, che ore sono?» Chiese l’uomo posando lo sguardo sulla sveglia digitale, ormai ferma alle 15:38 di qualche settimana prima.
«Sono le dieci», rispose la voce femminile dall’altro lato.
«Caspita! E’ tardi, devo andare», disse lui schizzando fuori dal letto.
«Andare dove? E’ domenica!» disse la donna.
«Lo so, ma devo fare assolutamente una ricarica: non ho più tempo!» Rispose lui concitato.
«E dove? I negozi sono chiusi», chiese lei.
«Troverò sicuramente un negozio di turno aperto al centro: è impossibile che non ci siano», rispose lui – infilandosi la tuta da ginnastica e cercando di tenere fermo il cellulare tra la spalla e la guancia, mentre la gamba cercava la via d’uscita da una braca.
«Sei sicuro di farcela in tempo? Vuoi che te ne presti un po’ dalla mia ricarica?», disse lei ansiosa.
«No, stai tranquilla, ho ancora una mezz’ora abbondante; e in più dieci minuti di opzione ricarica d’emergenza», rispose lui, mentre si infilava le scarpe da ginnastica senza allacciarle.
«Hei! Non voglio essere invadente, ma è possibile che tu debba sempre ridurti a fare le cose all’ultimo momento?» Disse lei.
«Ora devo andare… », rispose lui cercando di troncare il discorso.
«E poi con le ricariche non si scherza, vuoi veramente rischiare di perdere tutto il tempo?» Continuò lei.
«Ciao, ti chiamo dopo», tagliò corto lui, chiudendo la comunicazione.
Scese di corsa le scale avviandosi alla macchina. Il tempo era brutto: grandi nuvole attraversavano velocemente un minaccioso cielo grigio. La pioggia cominciò a cadere pesantemente in grossi goccioloni che rimbalzavano rumorosamente sull’asfalto. Entrò in macchina che era già zuppo d’acqua. C’era molto traffico quella domenica, le macchine si muovevano lentamente – complici le strade allagate dalla pioggia battente. Dopo un tempo indefinito si fermò davanti a un display informativo: le lettere digitali scorrevano velocemente riflettendo nei suoi occhi affaticati. – NEGOZIO TIME DI TURNO IN VIA ALMANACCO,365 – Si infilò in macchina e, senza rispettare lo stop, partì. Giunto all’indirizzo l’entrata del negozio gli fu sbarrata da una barricata di assi in legno, con su appeso un altro display le cui lettere correvano più velocemente di quelle precedenti, creando delle strisce quasi intellegibili color sangue, e sperò che fosse un’impressione dovuta alla sua momentanea condizione d’irrequietezza.
– SI AVVERTE LA SPETTABILE CLIENTELA CHE DA OGGI RESTEREMO CHIUSI PER IL TEMPO NECESSARIO AL RIAMMODERNAMENTO. IL NEGOZIO TIME DI TURNO PIU’ VICINO E’ IN VIA DELLA CLESSIDRA, 60 – Rimontò in macchina e accelerò.
Finalmente trovò il negozio aperto. Posteggiò la macchina in divieto di sosta ed entrò di corsa. C’erano cinque persone in fila prima di lui: era preoccupato, si guardava intorno in cerca di un orologio, ma stranamente non ne vide. Chiese al tizio davanti a lui: «Scusi mi dice l’ora?»
«Ricarica scaduta vero?» Rispose il tizio.
«Sì… mi dice l’ora?», chiese di nuovo lui.
«Le 10:40», rispose il tizio guardandolo con ironia e girandosi, poi, in avanti.
Ormai gli restava poco tempo; doveva fare in fretta se no ci sarebbero state delle complicanze irreversibili. Prese il coraggio a due mani, si schiarì la voce e disse:
«Scusate signori ho fretta, fatemi passare, non ho molto tempo», mentre il corpo cominciava a sentire strane sensazioni di disagio. Tutti i presenti si voltarono verso di lui in un silenzio appesantito da sguardi accusatori. Una vecchietta in testa alla fila lo scrutò da capo a piedi e disse: «Lei crede che noi, invece, di tempo ne abbiamo da spendere, giovanotto? Perché non si è preoccupato prima di fare la sua ricarica? Mi guardi! Lo sa che ho novant’anni e che se avessi vissuto come lei non sarei mai arrivata alla mia età?» Voltandosi di nuovo in avanti. Un freddo sudore iniziò a stillargli sulla fronte, mentre le guance sbiancavano e le mani cominciavano a tremargli: si sentiva svenire.
«Vi prego! Vi scongiuro, sto male… fatemi passare, sto male!… Signorina glielo dica lei!» Chiese lui, rivolgendosi alla commessa che lo guardava attentamente.
«Per piacere fatelo passare, penso che al signore non gli sia rimasto molto tempo a disposizione», disse la commessa preoccupata.
«Effettivamente non ha una bella cera giovanotto! Le cedo il mio posto, anche se è uno scapestrato», ribatté la vecchietta anch’essa allarmata.
Lui si avvicinò a fatica al bancone cercando di sostenersi sulle braccia, intanto che le gambe cominciavano ad abbandonarlo.
«Mi dia la carta di credito», gli chiese la commessa.
Lui si frugò nelle tasche, ma un allarmante consapevolezza lo colpì come un pugno nello stomaco.
«Oh… Dio, n-no! L’ho d-dimenticata a c-casa» disse lui balbettando, non volutamente.
«Incredibile! Come si fa a essere così incoscienti?» Esclamò la commessa.
«La pago io la ricarica a questo dissennato. Forza! Non ho tempo da perdere!» Disse la vecchietta tirando fuori la carta di credito.
«Quanto tempo?» chiese la commessa.
«D-due s-settimane», rispose lui. Facendo una smorfia di dolore sotto forma di sorriso alla vecchietta.
«Mi dia il braccio», ordinò la commessa.
Lui stese il braccio sinistro sul bancone e la commessa gli appoggiò il lettore a barre a metà strada tra il polso e il e l’avambraccio. Il click attraversò tutto il negozio rimbalzando sulle pareti, come un’eco infinita.
Dopo alcuni secondi già si sentiva meglio. Le guance erano tornate del colore naturale e le mani non gli tremavano più.
«Signora non so come ringraziarla, lei mi ha salvato la vita. Mi lasci il numero della sua carta di credito che le restituisco i soldi», chiese lui alla vecchietta, ripresosi completamente.
«Glielo offro io questo tempo giovanotto», disse la vecchietta sorridendo. E poi:
«Che questo le serva da lezione. E si ricordi che il tempo non va trascurato. Glielo dice una che di tempo ne ha consumato molto».
«Buongiorno signore, carta d’imbarco e passaporto prego».
«Ecco, a lei».
«Quante valigie ha, signore?»
«Quattro».
«Quante?… Quattro!»
«Sì, quattro».
«Mi dispiace signore ma la franchigia bagagli è di tre colli».
«Senta signorina io ho bisogno di imbarcare tutt’e quattro le valigie, per me è necessario».
«Signore le consiglio di far entrare tutto il vestiario nei tre colli».
«No, non è possibile mi servono tutti, non posso lasciarli qua… »
«Dovrà farlo signore, diversamente non può imbarcarsi».
«La prego signorina non li posso lasciare qua, ne ho bisogno, senza mi sentirei nudo».
«Perché non elimina qualche indumento?»
«Non posso».
«Perché non può?»
«Volerebbero via!»
«Come volerebbero via?»
«Sì, volerebbero via».
«Scusi signore che razza di indumenti contengono le sue valigie?»
«Non sono indumenti».
«E cosa sono, signore?»
«Pensieri».
«Pensieri? Ma non sono troppe quattro valigie di pensieri?»
«No, io ci tengo alle mie comodità».
«E li deve portare tutti con sé? Non può lasciarne qualcuno a casa?»
«No, ho paura che li rubino».
«Be’ potrebbe ridurre il numero dei pensieri e farli entrare tutti in tre soli colli, non crede signore?»
«No, non me la sento, soffrirebbero troppo: incastrati l’uno sull’altro in uno spazio ristretto e senza luce… no, preferisco tenerli comodi».
«Ma perché,quanto tempo resta fuori, signore?»
«Sei mesi, signorina».
«Non può indossarne qualcuno più di una volta,? Tanto se sono freschi e puliti, possono essere riutilizzati e… »
«No, ne voglio indossare uno al giorno, i pensieri usati non mi piacciono».
«Può comprarne altri in viaggio, il costo non è eccessivo».
«I pensieri in vendita sono polverosi e antiquati, preferisco i miei».
«Senta signore io non posso aiutarla, lei deve assolutamente eliminare una valigia. Tolga la rossa».
«No, la rossa no».
«Perché la rossa no?»
«E’ quella dei pensieri d’amore».
«Allora la verde».
«Neanche, è quella dei pensieri di speranza».
«Quella blu allora».
«Nemmeno, è quella dei pensieri di pace».
«Non resta che la viola. Elimini quella viola allora».
«No! Proprio quella no!»
«Perché proprio quella no, signore? Che tipo di pensieri contiene quella valigia?»
«Emh… »
«Allora? Me lo dice signore?»
«Emh… quella viola non contiene pensieri».
«Cosa allora?»
«Emh… sogni».
«Sogni?! Lo sa che il contrabbando di sogni è punibile con l’arresto immediato? Lei è un folle!»
«Lo so, lo so, ma i sogni sono miei, perché non dovrei portarli con me?»
«I sogni vanno condivisi con gli altri, altrimenti è impossibile che si realizzino. Apra subito la valigia viola e faccia uscire i sogni, in modo che possano beneficiarne anche gli altri. Si muova!».
«D’accordo, d’accordo lo faccio, ma non ne posso tenere qualcuno per me?»
«Non c’è bisogno: i sognatori come lei possono produrne tanti. Felice volo signore».
C’è un mare di gente là fuori, un mare di vite. Onde di destini diversi sulla cui superficie soffia un vento che porta in un’unica direzione.
Le tenebre si allontanano portando con sé gli spettri della notte, ma la luce fatica a prendere completamente possesso del cielo, grazie a questa bruma fitta che avvolge il mondo in una grigia calma ovattata. Il silenzio è rotto solo dal leggero scricchiolio del fasciame. Le vele continuano a sembrare fantasmi addormentati in attesa di un alito di vita che tarda ad arrivare. Sento la fragranza della terra bagnata oltre i vapori umidi, ma la lente del cannocchiale mi mostra solo un muro di nebbia. La notte è stata lunga e insonne per tutti. L’unica possibilità di avanzare, in mancanza di vento, è stata quella di mettere le scialuppe a mare e far spaccare la schiena agli uomini facendoli remare senza sosta.
Il nemico ci tallona da tempo, sento il suo fiato sul collo: siamo riusciti a sfuggirgli grazie allo spirito di sacrificio dimostrato dall’equipaggio. Ma gli uomini sono stanchi, hanno bisogno di riprendere le forze: sono settimane che siamo in navigazione, e da due giorni il nemico non ci molla. La costa potrebbe darci l’opportunità di seminarlo – se solo la nebbia si diradasse quel tanto che basta da individuare un’insenatura adatta per nasconderci. Devo assolutamente trovare un ancoraggio sicuro dove fermarci per riprendere fiato: siamo a corto d’acqua e di viveri. Sento che la terra è vicina, ma non c’è niente di più terrorizzante che essere avvolti dalla nebbia in acque sconosciute.
Un po’ d’aria da est, è il momento buono per accostare. Se ci avviciniamo forse riesco a individuare un lembo di terra adatto. Ho dato ordine di non parlare, qualsiasi manovra va fatta in silenzio. Le vele cominciano ad animarsi, si gonfiano e iniziano lentamente a sospingerci. Guardo in alto e vedo piccole figure che si sbracciano sui pennoni per dispiegare le vele intorpidite dall’inattività. Il fruscìo della tela che si riempie di vita è un canto meraviglioso che ti fa venire i brividi lungo tutto il corpo. L’ambiente si scrolla da dosso i grigi vapori, mostrando un panorama sconosciuto e selvaggio. Finalmente uno scorcio di visuale: una costa scura e vulcanica, con rilievi disseminati di palme. Ecco, il promontorio alla fine di quel tratto di terra bassa potrebbe essere un nascondiglio adatto – sempre che non ci individuino prima. Stranamente la nebbia sembra richiudersi alle nostre spalle: sarà qualche folletto benevolo che ha deciso di aiutarci. Dirigiamo con cautela verso la costa e faccio segno al Secondo di far controllare il fondale, un marinaio lancia a mare la lunga cima dello scandaglio e con la mano mi segnala che non tocca. Siamo ancora in acque profonde, ma è meglio stare attenti.
Continuo a scrutare la costa in cerca di non so cosa, forse in un miracolo. L’uomo allo scandaglio segnala cinquanta braccia, il fondale comincia a salire, faccio segno di diminuire la velatura e di tenerci paralleli alla costa. Una strana spaccatura lungo una parete rocciosa m’incuriosisce, punto il cannocchiale e scruto attentamente il fianco di quella muraglia. Là, sembra un’apertura dentro la roccia, e faccio cenno di dirigere in quella direzione.
L’uomo allo scandaglio segnala quaranta braccia – la parete si avvicina e comincio a intravedere uno leggero squarcio che l’attraversa tutta tuffandosi nel mare. Sembra una sacca, una rientranza. Dovrei mandare una scialuppa a controllare quell’apertura, ma il nemico potrebbe sopraggiungere a momenti e sarebbe rischioso, sarei costretto a recuperare gli uomini in mare e ci beccherebbero in brache di tela. Voglio rischiare – e indico di avanzare lentamente.
L’uomo allo scandaglio segnala trenta braccia: c’è un silenzio che sa di paura, gli uomini evitano anche di respirare. Mi sento osservato da centinaia d’occhi che mi chiedono con lo sguardo a quale rischio stiamo andando incontro. Lo so è un azzardo costeggiare una terra inesplorata, ma tanto vale consegnarsi al nemico.
L’uomo allo scandaglio segnala venti braccia, forse sto chiedendo troppo alla mia buona stella, ma qualcosa mi dice che devo avanzare.
Un residuo di nebbia si disperde svelandomi quello che intimamente speravo più di ogni altra cosa: lo squarcio si allarga; un’ansa nascosta si apre gradualmente mostrando un passaggio stretto, ma attraversabile.
L’uomo allo scandaglio segnala dieci braccia, il fondale comincia a preoccuparmi, faccio cenno al timoniere di dirigere verso il centro dell’insenatura. Le pareti di roccia segnate da millenni di erosione ci ammoniscono incombendo sulle nostre incertezze – sono talmente vicine che sembra stiano per stringerci in una gigantesca morsa di pietra.
L’uomo allo scandaglio segnala cinque braccia, individuo una piccola rada a sinistra e faccio segno di dirigere da quella parte.
Dopo pochi minuti il silenzio viene rotto dall’ancora che si tuffa in acque cristalline, mentre l’uomo dello scandaglio raccoglie la lunga cima.
L’aria è cosi pregna di pioggia che sembra cada giù, ininterrottamente, da quando la Terra ha iniziato a girare.
Sfilaccio grumi di lana e li lascio asciugare al sole. Così il mio cuscino sarà più soffice e i miei sogni più leggeri.
Ammaino le vele, raccolgo le cime e guardo l’imboccatura del porto: è un mare scriteriato quello da cui mi sono distaccato.
Il sole nasce, si arrampica, poi discende, le notti scorrono veloci sulla nostra vita; come se qualcuno, oltre l’orizzonte, le tirasse su e giù come una tapparella.