Quante…

Quante vite viviamo in una vita?

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Continuerò…

Continuerò a dipingere la mia vita, dovessi usare tutte le tele di questo mondo.

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…pezzi di cuore…

Quanti pezzi di cuore lasciamo lungo il cammino della nostra vita?

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La giostra

Amo il tuo profumo… così dolce, così gentile… lo cerco sempre in ogni donna che incrocio; mi aleggia intorno sfuggente, come se avesse fretta di disperdersi.
Allungo il corpo inspirando profondamente finché non mi arriva nel cervello; finché non mi appare il tuo viso. Il tuo viso, che danza lungo i bordi della mia mente. Il tuo viso, che scivola lungo i miei pensieri tuffandosi nei miei ricordi. Rotolo su di essi inciampando e rimbalzando a ogni caduta per trovarmi, infine, disteso sul tuo ventre. Giaccio lì, immobile per un po’, ma ti dissolvi in mille luci colorate che si rincorrono. Resto solo. Ecco! Adesso ti rivedo, sei lì, in fondo. Ti vedo in mezzo a tante note colorate che danzano leggere chiuse in bolle di sapone; provo a bucarle, ma rimbalzano e si allontanano indifferenti. Guardo il mio corpo: è inerme, privo d’aria; alzo il mento verso l’alto per trasformare i tuoi lineamenti in qualcosa di respirabile per riprender fiato. Chissà se ti conservassi in una boccetta e ti tenessi su una mensola cosa penseresti? Potrei cospargermi la pelle della tua essenza tutte le mattine, così dai pori entreresti nel mio sangue e sarei sempre avvolto dal tuo profumo.

Comincio a sentirmi strano, tra poco, lo so, diventerò solido e poi tutto tornerà come prima.

Scenderò dalla giostra.

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Mi ossigeni

Non riesco a muovermi. Dài, staccati da me, non vedi che le mie labbra bruciano? Guarda, si fondono con le tue. Oddio! Adesso si sciolgono, si stanno sciogliendo… si amalgamano; vedi come coagulano e si uniscono in un’unica forma?

Guarda i miei occhi, li vedi i miei occhi? No, non li vedi, lo so. Li tengo bassi perché non riesco a guardarti: ho paura. Potresti farmi una magia; farmi bruciare tra fiamme di piacere o cullarmi tra i carboni ardenti, che ne so cosa potresti farmi? Comunque voglio che tu lo faccia, dài, fallo!

Osserva come bevo i tuoi bisbigli, lo vedi? Mi sto dissetando e più ne bevo più ho sete; mi si dilaterà la pancia fino a scoppiare, sarà un botto tremendo, un incredibile sbuffo d’aria.

Ho preso coraggio, ti guardo; adesso ho fame, anche tu hai fame, lo vedo dai tuoi occhi, questi occhi che vengono da lontano. Le nostre mani si frugano insistenti, le dita scivolano fluide, i seni affannano, si gonfiano, le gambe si intrecciano e si annodano strette… sessi affamati si cibano l’uno dell’altro. Ancora, dài, ancora… corpi spossati ansimano… tu sospiri, poi gemi, infine palpiti… il soffitto è bianco, anche il fondo dei tuoi occhi lo è.

Adesso i nostri respiri si mescolano, soffiano l’uno intorno all’altro: due piccoli turbini avidi che si rincorrono nell’aria quieti. Guarda, sembra si colorino; ogni spira ha un colore diverso, bello, no?

Respiriamo un poco meglio adesso, mi ossigeni.

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C’è qualcosa dietro quegli occhi.

Cosa c’è dietro quello sguardo? Cosa c’è dietro quel sorriso? Quel sorriso che non appartiene alla tua bocca: forestiero, quasi alieno.
Interviene nelle foto, si trattiene qualche secondo poi si allontana, svanisce nel nulla, come se non fosse mai esistito. Come se l’avessi preso in affitto solo un attimo; solo per quello scatto. Come un costume di carnevale da usare solo il martedì grasso. Una maschera sulla maschera. Tanto, poi verrà mercoledì e poi giovedì, e poi ancora…

Fai capolino dentro l’immagine come se giocassi a nascondino, lasciando agli occhi il compito di presentarti a chi non ti conosce ancora. C’è qualcosa dietro quegli occhi, qualcosa di triste: sono i tuoi sogni che rimbalzano in faccia alla realtà e tornano indietro. Li raccogli e li conservi in uno scrigno, con la speranza di riaprirlo un domani, nella nuova dimensione a cui ti stai preparando. Ogni tanto ne prendi un pezzo, spazzoli via un po’ di fantasia – tanto per renderlo comprensibile agli occhi dei pagani – e lo pubblichi. Chi ti capisce ti ama, pensi.

Lo vedi che passa, ti supera, ti segna nel viso e nel corpo, ma i segni più profondi li lascia nella tua mente. Macchie sulla pelle e nell’anima, macchie indelebili, macchie di tempo che corre.

Se non fosse per quegli occhi – che riuscirei a leggere anche al buio – nemmeno io mi accorgerei di quello che hai dentro. Ho questa facoltà: leggo esattamente cosa sei e cosa vuoi diventare.

C’incontreremo, lo so, c’incontreremo in quella dimensione a cui ti stai preparando e chissà che forse…

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Pathos

Varchi la soglia della mia anima col mento insolente e l’incedere arrogante, il rumore mi rintrona fin dentro il più recondito dei miei desideri.
Provo a sbarrarti l’accesso empiendomi della tua falsa condiscendenza, ma riesci sempre a trovare una breccia per entrare con caparbietà. Senza scrupoli. Provo a sfuggirti ogni volta che il tuo sguardo punta nella mia direzione, cercando di trovare un angolo dove nascondermi. Mi sfiori la spalla appena tento di far sbiadire la tua immagine dai miei occhi drogati; e ti basta un pennello e un po’ di colore per farmi illuminare di speranza. Non trovo pace. Ma cos’è la pace? Se la pace è soffocare il desiderio non la cerco, non mi serve. Cerco emozioni forti, sanguigne, struggenti, travolgenti; cerco una sofferenza appagante; un dolore riempitivo; una palpitazione avvolgente. Voglio il Pathos! Lo voglio sciogliere nel caffè la mattina; asciugarmici dopo la doccia; indossarlo prima di uscire; condirci l’insalata a pranzo; grattarlo sulla minestra la sera; gustarlo in una coppa di cristallo. E tenerlo sveglio la notte quando non dormo e guardo oltre il soffitto.

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Fremito

Ti alzi, il tuo corpo diffonde un profumo di essenze fragranti e di desiderio appagato; ti soffermi davanti allo specchio esplorandoti il viso in cerca di tracce di peccato;
ti passo accanto, mi prendi le braccia e ti ci avvolgi i fianchi strusciando la schiena contro il mio corpo nudo, mentre i tuoi capelli m’inondano la spalla avvolgendola in un mantello odoroso di frutti di bosco. Sospiri leggermente come se ti apprestassi a sorseggiare una bevanda calda. Improvvisamente vieni attraversata da un brivido che mi arriva direttamente al ventre… sono sommerso completamente da quell’unico e singolo fremito, che si fa strada nel mio corpo sguarnito di qualsiasi difesa. E’ una vibrazione forte, ancestrale, che s’impossessa di una mente ormai schiava dei tuoi gemiti. Mi prendi le mani e cominci a dirigerle lungo un percorso conosciuto solo dai tuoi sensi, le accompagni con determinazione indicando loro la strada verso i punti più sensibili e misteriosi del tuo corpo che vibra. Inondi le mie mani col tuo umore, poi ti inclini verso la parete accogliendomi nel profondo calore del tuo essere…

Ed è in quel momento che le nostre anime diventano schiave dell’istinto e della passione.

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Desiderio

Eccoti finalmente. Anche stamattina guardi nella borsa; sbuffi indispettita spostando la ciocca di capelli che ti cade sugli occhi ogni volta che abbassi la testa, poi appoggi la borsa sul tetto dell’auto e ti dedichi alla ricerca delle chiavi come se scavassi una buca nel terreno.
Fa freddo, quel cappotto lungo con il bavero largo ti modella magnificamente il corpo; invano tento di penetrarlo con lo sguardo. Ti desidero. Attraverso la strada e vengo verso di te; alzi la testa, mi guardi e rimani lì, ferma, solo gli occhi si muovono velocemente. Restiamo sospesi per lunghissimi secondi l’uno nello sguardo dell’altro. Ti accarezzo il viso, esiti, e poi strofini la guancia nella mia mano; ti cingo la vita e comincio a baciarti; accompagni i miei spostamenti con studiate angolazioni della testa permettendo alle mie labbra di esplorare la superficie del tuo collo flessuoso. La mia bocca lascia una scia ardente mentre la spingo delicatamente dietro il tuo orecchio, abbassi la testa e mi sposto lungo la nuca percorrendola a piccoli morsi, poi di nuovo sul collo, infine scivolo sulle tue labbra cibandomene avidamente. Ti apro il cappotto per cogliere quanta verità vi sia all’interno; frugo sotto i tuoi vestiti alla scoperta delle tue forme scivolando con le mani lungo il corpo, finché non si riempiono del tuo seno, finché le mie dita sfiorano i tuoi capezzoli turgidi d’eccitamento. Mi cingi il collo, ti ci aggrappi e avvolgi le gambe intorno ai miei fianchi restando sospesa tra la voglia di essere posseduta subito e quella di trovare una posizione più comoda. Ma anche così riesco a entrare in te. Comincio a spingere piano, ma con determinazione, e a ogni spinta la ciocca dei tuoi capelli sobbalza incontrollata, mentre a ogni sguardo il bianco dei tuoi occhi prende il posto dell’iride. Il tuo respiro mi accarezza l’orecchio con sussurri e inviti a spinte ancora più possenti. Non c’è più niente intorno a noi, tutto gira vorticosamente. Cavalchiamo questo momento cercando di farlo durare il più possibile, sorretti solo dal nostro desiderio…

Guardo oltre il tuo viso. Da un albero uno stormo di passeri spicca il volo.

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Ali

Anche quella mattina si svegliò presto e la sveglia confermò il suo pensiero: le 04:37. Era da molto ormai che indovinava esattamente l’ora prima di vederla – riusciva a spaccare il minuto. All’inizio gli sembrò un gioco, ma col passare del tempo la cosa lo mise in una strana ansia.

Si alzò a sedere sul letto e istintivamente si portò la mano dietro la schiena: sentiva dolore, un dolore sordo, profondo; andò in bagno e si guardò allo specchio. Erano dieci giorni che non si faceva la barba e cinque che non faceva una doccia, e chissà quanti che non metteva il muso fuori casa. Quella mattina aveva intenzione di uscire, l’aveva deciso esattamente in quell’istante. Il dolore alla schiena persisteva, si girò di lato verso lo specchio per individuare a che altezza si trovasse quell’insistente malessere. Un grido gli si soffocò in gola facendolo appoggiare al lavandino con forza appena prima che cadesse: due strani rigonfiamenti spingevano da sotto il pigiama all’altezza delle scapole. Si tolse la giacca e rimase allibito. Le ali erano ancora piccole, ma qualcosa gli diceva che sarebbero cresciute ancora. Provò a muoverle e con stupore vide che si distendevano e sbattevano lentamente. Si toccò il corpo, spostò oggetti, bevve dell’acqua, aprì la finestra e inspirò profondamente; girò per la casa battendo i piedi e toccando le pareti, alzò il telefono fece un numero a caso chiedendo se fosse l’ufficio postale – mentre la persona dall’altro lato lo investiva di improperi per averlo svegliato. No, non era morto, era vivo, se fosse stato morto non avrebbe avuto tutti i sensi funzionanti. Inoltre il tizio al telefono l’aveva sentito. Quindi…

Adesso che faccio? – Si chiese. Accese il computer e s’inoltrò nei meandri del web alla ricerca di informazione sugli angeli.

Si era fatto buio: aveva passato la giornata a cercare di capire cosa fossero gli angeli, ma le idee erano più confuse di prima. Si guardò allo specchio: le ali avevano raggiunto il massimo della crescita; le punte gli arrivavano fin quasi a terra; le dispiegò e si meravigliò dell’ampiezza delle sue appendici piumate.

Be’, – si disse – adesso che ho le ali potrei anche provare a volare. Salì sul davanzale della finestra e dopo un attimo di esitazione, si lasciò cadere nel vuoto…

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