Anemos

Il cielo ringhiava da lontano mentre avanzavo poggiando a ogni sferzata di vento: affannavo sulla cresta e guizzavo nella china più veloce della pioggia; quando il sole, improvvisamente, decise di scorrere da dietro il grigio che oscurava il cielo verso ovest, simile a un tuorlo senza albume. Una luce color salmone invase il mare facendo risplendere la coperta gocciolante e illuminando i dorsi delle onde ‒ le quali tentavano di  strappare l’ultimo strallo che teneva ancora in piedi il moncone dell’albero. Ma durò solo qualche minuto, poi il buio fagocitò il giorno come un male incurabile. Ormai la sentina era già per metà allagata e il resto dell’albero, disteso tra un groviglio di cavi e cime, giaceva irrequieto sul ponte come un tronco spezzato dal fulmine. Solo un pezzo di vela di trinchetta era ancora integra, e solo quella pezzuola mi permetteva di non ingavonarmi a ogni imbardata. Mi avevano abbandonata lì, in mezzo all’oceano, senza neanche pensarci su due volte. Si erano catapultati nella zattera di salvataggio senza girarsi nemmeno per uno sguardo, una parola…

Me n’ero accorta subito, appena li vidi salire a bordo: calpestavano il ponte con le loro scarpe antiscivolo nuove di zecca da mille euro e le valigie semirigide trascinate sul teak appena passato d’olio. Partiamo subito, dissero. Avevano fretta di mostrare le loro capacità marinare. Appena usciti dal porto, cominciarono a stappar bottiglie e a ingozzarsi di salumi e formaggi; dopo un’ora erano tutti distesi sul paiolo a vomitarsi addosso.

 La mattina dopo uscirono dal limbo e qualcuno avviò un discorso sull’anima:

«Io non ci credo», disse il losco

«Io sì, forse… », rispose quello basso.

«Io sono agnostico», blaterò quello con la barba.

«Io penso che tutti abbiano un’anima: gli animali, le piante… anche gli oggetti!», intervenne il quarto.

Le risate dei tre furono invadenti e fragorose, nella serenità dell’aria.

«Che ne sapete voi dell’anima? Non conoscete neanche il significato!»

«Ah, allora diccelo tu il significato professore!», Disse il losco.

«Aristotele diceva che è la parte spirituale dell’uomo, c’è ma non si vede, come l’aria il vento. Difatti Ânemos in  greco significa soffio, vento, respiro… »

«Ahahahah… allora stiamo navigando nell’anima secondo te e Aristotele?» Intervenne quello con la barba.

«Forse è Aristotele che ci respira contro?» Disse il basso senza convinzione.

«E quando piove ci sputa addosso! Ahahahah… » Intervenne il losco.

Andarono avanti così per un bel pezzo, mentre io mi preoccupavo della rotta…

Alla fine fu il losco a chiedermelo, con quella luce maligna che aveva negli occhi:

«Ehi, barca, hai l’anima?»

Non risposi, come potevo?

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