La tempesta era arrivata al massimo della sua forza distruttrice, le onde erano diventate alte e frangenti. Miranda, appoggiata a uno scoglio basso, cercava di trattenere i lunghi capelli che le impedivano di guardare verso il mare; mentre una mano istintivamente andava al cuore – come se volesse con essa sostenere l’emozione di quel momento tragico di tensione. La caravella era ormai segnata: grossi cavalloni stavano portando a riva i primi pezzi di pennoni strappati via dalla tempesta. Il vascello non riusciva a superare il vento, che impetuoso, veniva spinto verso le rocce. Miranda stava lì, ipnotizzata dalla scena, e nonostante non fosse esperta di vento e di mare, sapeva che presto la caravella si sarebbe rovinosamente distrutta sugli scogli. Un alto promontorio si ergeva incombente sulla rotta della nave, che cercava di guadagnare il largo risalendo la furia del vento. Ma le onde gigantesche la costringevano sempre di più verso quella sporgenza mostruosa. Miranda era atterrita, la scena aveva un che di surreale, tutto sembrava fermo, come in un dipinto del primo novecento. Dove il respiro di lei era l’unica cosa che facesse rumore in quella tempesta. Lo scricchiolio assordante seguito da un’esplosione di fasciame annunciò l’avvenuta catastrofe, che ruppe quel silenzio metafisico. Nel giro di pochi secondi, in quella zona sotto il promontorio, erano rimaste solo le onde. L’angoscia di Miranda si manifestò con un lungo e profondo grido di dolore. S’inginocchiò e pianse fino a prosciugarsi gli occhi – su quella spiaggia fatta solo di rocce che erano tutt’uno con il colore dei suoi capelli.