Il pullman percorreva la sua linea con la tranquillità di un pullman di linea, o almeno a me così sembrava, in fondo che ne sapevo io di quell’itinerario? Non c’ero mai stato su quel pullman e non avevo nessuna idea di quale fosse il suo percorso. Sapevo che mi doveva portare da qualche parte, ma da che parte, non ne avevo idea.
Guardavo il paesaggio scivolare dietro il finestrino con la mia immagine che si sovrapponeva e ne copriva i particolari, anche se qualcosa mi diceva che poteva essere il contrario. C’era gente sul pullman, non tanta credo; spostavo lo sguardo tra il finestrino e il davanti; dietro non m’importava chi ci fosse, forse non c’era nessuno, chissà.
Mi meravigliò molto l’immagine di quel rimorchiatore che navigava a sud dell’Antartide; mi esplose nel cervello come una bolla d’acqua sulfurea. Avete mai visto esplodere una bolla d’acqua sulfurea? Si gonfia lentamente e poi esplode emettendo del vapore grigio che esala anch’esso lentamente: come il ragù.
Dunque, capii che in qualche modo i due mezzi di trasporto avevano qualcosa in comune, ci fu una specie di metamorfosi anfibia: il pullman che diventava rimorchiatore, o forse era un rimorchiatore travestito da pullman? Non mi soffermai molto sulla cosa, a che serviva?
La tappa era fuori dalla solita rotta, una tappa del tutto eccezionale, ma avevo la sensazione come se ogni tanto, nel suo girovagare, il pullman-rimorchiatore allargasse il suo itinerario, per raggiungere quel posto lontano alla fine del mondo. Fui colto da un raptus di meraviglia che mi attraversò il corpo, come una serie di cerchi di energia intenti a farmi una tomografia. Tirai fuori la digitale e cominciai a scattare, eccitato dalla ghiotta occasione di osservare un luogo che non avrei mai più avuto occasione di rivedere nella mia vita. L’Antartide mi ha sempre affascinato e non mi sarei mai aspettato di visitare un posto così remoto. Il piccolo monitor della digitale mi rimandava le immagini scattate sotto forma di quadri di Andy Warhol. Mi piace la pop-art, ma chiedevo alla digitale solo delle semplici foto, nient’altro. Smanettai un poco per cercare una funzione che mi facesse scattare immagini normali, ma non facevo altro che complicare la situazione. Un moto di rabbia mi invase talmente tanto, che cominciai a sbattere la digitale sul palmo della mano con la speranza che si resettasse da sola e prendesse coscienza di adempiere alle sue normali funzioni. Niente da fare, comunque continuai a scattare, che altro potevo fare?
Il gruppo di viaggiatori scese dal pullman-rimorchiatore e si fermò in mezzo a una strada larga quanto una piccola piazza, con pozzanghere disseminate lungo il percorso costeggiato da palazzi rinascimentali bagnati da una pioggia ormai passata. Io volevo uscire dal gruppo e farmi da solo il giro turistico, ma il tizio – comparso da chissà dove – mi fece segno di seguirlo. Spiegava delle cose al gruppo muovendo una bocca priva di suono. Istintivamente portai l’indice all’orecchio dandogli una serie di scrollatine, ma non successe niente di nuovo, continuavo a non sentire la voce del tizio.
Un campo di calcio coperto dal mare attirò la mia attenzione. Le porte erano al di sopra del livello dell’acqua mentre i giocatori erano sommersi fin sopra i pantaloncini. Rimasi affascinato dalla loro capacità di scartare e fare i passaggi sotto il livello del mare e vidi anche un gol fatto dalla squadra con le casacche rosse e i giocatori che si abbracciavano allegri sguazzando nell’acqua. Cercai d’immortalare il momento con la mia capricciosa digitale, ma continuava a darmi immagini d’arte moderna. In fondo non mi piace il calcio…
Un rombo capriccioso mi fece alzare gli occhi al cielo: il cumulonembo occupava quasi tutto il cielo e mi fece venire i brividi solo al pensiero di cosa potesse accadere in quel momento sotto quel tremendo evento atmosferico, nel bel mezzo dell’oceano Pacifico. Di solito hanno la forma di un fungo atomico, ma quello era diverso. Aveva sì la maestosità e la densità di un cumulonembo, ma era un po’ diverso nella sagoma: aveva punte di vapore grigio che si dipanavano verso l’esterno. Come se un pittore folle avesse deciso di trasformarlo in una chioma attraversata da corrente elettrica. Praticamente come la testa della piccola Maggie Simpson.
La devo smettere di prendere le pillole di carbone prima di andare a letto.