Naufrago

Mi svegliai come da un lungo e angoscioso sogno: avevo le mani cosparse di piaghe, le labbra mi bruciavano maledettamente ed erano coperte di pustole; le spalle sembrava fossero attraversate da lunghi spilli roventi. Il pavimento si muoveva, anzi no, rollava: dei rigagnoli d’acqua salmastra, dal sapore stantio, sciabordavano senza sosta lambendomi il corpo disteso sul paiolato che puzzava di pesce marcio. Il sole era di un bianco talmente accecante che nemmeno socchiudendo gli occhi riuscivo a capire l’ambiente che mi circondava.
Fu l’odore del mare e lo sciacquìo dell’acqua che mi informò del mio stato di naufrago. Provai ad alzarmi, ma il rollio della scialuppa mi fece capire, senza pietà, le condizioni precarie in cui mi trovavo. La sete mi assaliva come un’orda di cani bavosi, ero circondato da un oceano d’acqua senza poterla bere. Mi girai sul dorso, allungai il braccio sostenendomi a uno scalmo e riuscii a sedermi al centro della barca: avevo la testa bombardata da centinaia di palle di cannone, da vele quadre incendiate e da alberi spezzati che cadevano sui ponti delle navi seminando morte e distruzione; da arrembaggi con spade ricurve, sciabole e coltellacci che trapassavano i corpi dei marinai, e palle di moschetto che dilaniavano la carne e menomavano senza pietà; da grida di uomini, lamenti di feriti, risate oscene, pianti irrefrenabili, visi deformati dal terrore, grida e bestemmie partorite dalla battaglia. E sangue, sangue d’ovunque. E grazie ad una pozza di sangue che scivolai infilandomi, contro la mia volontà, in una larga apertura  fatta da una palla di cannone e caddi in mare galleggiando in un groviglio di sartie e pennoni. E quando infine le due navi s’inabissarono contemporaneamente – lasciando a galla solo corpi e oggetti inanimati – con le ultime forze riuscii ad aggrapparmi a l’unica scialuppa rimasta intera in quel disastro.

 

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